Una galleria nomade in una stanza di casa. Dopo mesi di viewing room digitali, il gallerista Giorgio Galotti, già sperimentatore di vari formati espositivi, reagisce con Ludoteca, project space nella sua casa di Milano, alla sua quarta installazione, firmata Gaia De Megni. Un’eclettica agenzia di comunicazione trasforma il salotto in spazio espositivo. È Salotto Studio (via Vaina 2), appunto, con programma domestico e superchic, 4 mostre all’anno di giovani artisti. E poi un progetto curatoriale nato a fine 2018, testa i confini tra le discipline, tra arte, architettura e design, ma non solo. In una casa vissuta, adiacente a uno studio di architettura, provoca incontri e associazioni inaspettate. È The House, due mostre all’anno e un fitto programma di pubblicazioni e incontri ( il filosofo Raffaele Ariano, 23 giugno alle 18,30, discute i temi della collettiva in corso, Asa Nisi Masa, viale Vittorio Veneto 18).
E poi l’iniziativa di una coppia di collezionisti ormai spazio espositivo stabile, con oltre venti mostre all’attivo dal 2017, in casa, ma non solo, Isorropia Home Gallery (via Beatrice d’Este 22, oggi è visibile la collezione).I casi si moltiplicano a Milano e in tutta Italia. Gli obiettivi condivisi da queste case- galleria, tutte visitabili solo su prenotazione, oltre all’opportunità di contenere le spese, sono di coltivare l’empatia, di condividere tempo, emozioni, idee. Tra contingente e ideale, l’arte ha un illustre predecessore in questa direzione. Il curatore Hans Ulrich Obrist che, a 23 anni, ancora studente all’università di San Gallo nel 1991, troppo giovane per lavorare con musei o gallerie, si allenava con piccole mostre in cucina, i suoi mitici “Kitchen Show”. Portava l’arte fuori dai circuiti. In uno spazio raccolto recuperava l’intimità tra artista, opera e visitatore. Nulla di nuovo sotto il sole, se pensiamo ai molti esperimenti- meteora anche d’inizio Duemila, dagli ” home concert” ai ” home restaurant”, ma forse i tempi di questa informalità e accoglienza oggi sono maturi per restare.
Dopo mesi di ritiro forzato nelle nostre case, c’è in fondo chi dalla casa non vuole allontanarsi. Ci porta il suo ufficio. Ci trasferisce ogni aspetto del quotidiano, valorizzando quel margine tra pubblico e privato, che ha ormai sfumato i confini. Ciò che colpisce oggi è la convergenza, il numero e forse la maturità e persistenza delle occasioni. Inoltre la casa ha potenzialità di accoglienza e di comunicazione dell’arte radicalmente diverse dalle canoniche. «Facciamo vivere agli artisti il nostro spazio, casa e studio. Chiediamo poi loro di condividere le opere, ma senza pose da Kunsthalle — racconta Victoria Genzini, tra i fondatori di Salotto Studio — Le nostre mostre sono spunto di un dialogo, di un racconto che le possa valorizzare, come oggi accade ai dipinti di Verde Edrev, artista fiorentina di 25 anni. Il nostro invito informale va a italiani o stranieri, ma che abbiano già un rapporto con Milano » . La familiarità del dialogo estemporaneo attorno a un divano, a un pianoforte, al tavolo di una cucina, mette l’artista più a suo agio. E il pubblico, stanco di piedistalli ed etichette da vernissage imbustati e di chiacchiere frettolose in piedi in un gelido white cube, ha oggi a disposizione anche un luogo alternativo, vissuto e denso di storie, una nuova casa per l’arte.
Gli esempi Dall’alto The House in viale Vittorio Veneto 18, che ha in corso una mostra collettiva; Salotto Studio in via Vaina 2 com mostre di giovani artisti; Isorropia Home Gallery in via Beatrice d’Este 22, iniziativa di una coppia di collezionisti…